martedì 21 ottobre 2025

La pianta 147 del Catasto Gregoriano

Chi mi segue con una certa assiduità saprà che una delle mie fonti preferite è il Catasto Gregoriano del 1816, che di fatto ha segnato una svolta nella rappresentazione del territorio, essendo stato il primo catasto particellare e, quindi, avendo creato una mappatura molto precisa dei terreni e dei fabbricati, in modo del tutto analogo a quanto fa il catasto moderno, che tutti noi conosciamo e a volte usiamo.

Naturalmente, vista la collocazione di Villa Ada in quello che al tempo era l’Agro Romano, il mio interesse si è sempre focalizzato sulla pianta del catasto che la includeva – la numero 153 – che nel Catasto Gregoriano copriva l’area compresa tra la Via Salaria, a est, e il fiume Tevere a nord e a ovest.

Visto che oramai di quella pianta so praticamente tutto e, devo dire, anche perché sto lentamente esaurendo gli argomenti legati a Villa Ada, ho pensato di spostare l’analisi leggermente al di fuori e, considerato il mio legame con il Quartiere Trieste, nel quale sono nato e dove tutt’ora vivo, mi sono fatto inviare, dall’Archivio di Stato di Roma che custodisce il Catasto Gregoriano, la pianta 147 e il suo brogliardo, relativi alla zona compresa tra la Via Salaria e la Via Nomentana, pianta che vedete qui sotto, arricchita con le mie usuali annotazioni, sulle quali tornerò tra poco.

Catasto Gregoriano – Pianta 147 con le annotazioni

Devo dire che l’analisi della pianta è stata decisamente interessante, non tanto per gli edifici presenti al tempo, che oggi sono praticamente tutti spariti essendo stati sostituiti con i palazzi dei quartieri che in tale zona sono sorti, ma per alcune strade che, da inizio Ottocento, sono in parte arrivate fino a noi, seppur con alcune ovvie modifiche, ma che comunque ancora ricalcano il percorso originale.

Per agevolare il confronto con la situazione odierna, nell’immagine seguente vedete una combinazione tra la pianta 147 e un paio di immagini prese da Google Earth che, con non poca fatica e sicuramente una certa imprecisione, ho sovrapposte alla pianta del catasto.

Sovrapposizione tra la pianta 147 e le immagini di Google Earth

Con riferimento alla pianta mostrata qui sopra, vale la pena evidenziare:

(1): in colore rosso, alcuni edifici giunti fino a noi, come il Mausoleo di Santa Costanza e la Basilica di Sant’Agnese, e un altro piccolo edificio che, seppur con le ovvie modifiche avvenute nel corso del tempo, sembrerebbe ancora presente – il condizionale è d’obbligo – che si trova in Via di San Crescenziano e che oggi è sede della UIL FPL (nella pianta ho anche inserito una foto di come l’edificio si presenta oggi, così da renderne più agevole l’identificazione).

(2): in colore marrone i confini delle ville al tempo più importanti: ; (A): Villa Albani (particelle dalla 144 alla 179), di proprietà del Cardinale Giuseppe Albani; (B): Villa della Porta (particelle dalla 89 alla 101), di proprietà del Conte Filippo Della Porta, della quale oggi resta solamente il casino nobile, dato che la restante proprietà fu ceduta al Comune di Roma per la realizzazione del Quartiere Verbano, poi inglobato nel Quartiere Trieste (C): Villa Chigi (particelle dalla 34 alla 39), di proprietà del Principe Agostino Chigi Albani della Rovere, V principe di Farnese. Tra l’altro, come si vede dalla sovrapposizione, sembra che quella che è arrivata sino a noi sia solo una parte della villa originaria, che in passato includeva sia la zona dove oggi c’è Via Nicolò Piccinni e gli edifici che affacciano su di essa, quella dove si trova oggi un tratto di Viale Somalia e che in passato si estendeva fino a dove ora passa la tangenziale e, infine, parte dell’area oggi compresa tra Via Valnerina e Via Amatrice.

(3): in colore verde, Via del Crocifisso, che andava da quella che oggi è Piazza di Priscilla, fino al fiume Aniene, al tempo chiamato Teverone, nome usato soprattutto con riferimento al tratto finale del suo percorso. Con riferimento alla toponomastica moderna, la via ricalca quelle che oggi sono Via di Tor Fiorenza, Via Monte delle Gioie, Via di Villa Chigi e Via Luigi Mancinelli. La via proseguiva poi fino alle sponde del fiume, con un percorso oramai sparito.

(4): in colore blu, Via del Fontanaccio, che probabilmente prendeva il nome dal fontanile, evidenziato sulla pianta e che si trovava in corrispondenza di quella che oggi è Piazza Sant’Emerenziana. La via percorreva quelle che oggi sono Via di Poggio Catino, un breve tratto di Via Collalto Sabino, Piazza Sant’Emerenziana e Via Tripoli.

(5): in colore porpora, il Vicolo di Sant’Agnese, che collegava in linea retta la Via Salaria e la Via Nomentana, oggi sparito se non nel suo tratto iniziale verso Via Nomentana, che ancora porta il suo nome e arriva fino a Piazza Annibaliano.

(6): in colore viola, Via di Santa Costanza, che con un percorso piuttosto tortuoso, collegava anch’essa la Via Salaria alla Via Nomentana e che, come per il Vicolo di Sant’Agnese, oggi è sparita, se non nel suo tratto iniziale da Via Nomentana, che porta ancora il suo nome, e in un breve tratto successivo, che sembrerebbe coincidente con quelle che oggi sono Via Bisagno e Via Piediluco.

(7): in colore rosso, Vicolo di Via Salaria, che partiva da Via Salaria, non lontano da quello che oggi è Piazza Fiume, per arrivare a Via Nomentana. Il vicolo, a partire da Via Salaria, percorreva quelle che oggi sono Via Nizza, Via Dalmazia e Vicolo della Fontana. All’altezza di quello che oggi è Largo di Villa Paganini, il vicolo si biforcava, con un tratto che continuava su Vicolo della Fontana, fino alla Nomentana, e un altro, più lungo, che si ricongiungeva alla già citata Via di Santa Costanza.

Per concludere, un’uscita da Villa Ada per esplorarne i dintorni che spero sia stata comunque interessante, soprattutto per quanto riguarda l’evoluzione di quell’area, al tempo totalmente agricola e oggi diventata una zona semi-centrale della città.

giovedì 16 ottobre 2025

Il progetto del 1941 per un ampliamento di Villa Elena

Come già descritto nel mio precedente post, il Fondo Architetti custodito presso l’Archivio Centrale di Stato mi ha fornito un paio di spunti interessanti per condividere alcune informazioni collegate a Villa Ada; un collegamento indiretto per quanto riguarda il precedente post, visto che parlavo del tratto di Via Salaria davanti all’ingesso monumentale, mentre assolutamente diretto in questo post.

Il progetto che ho trovato, sempre del 1941 e anch’esso parte della raccolta dei lavori di Michele Busiri Vici, famosissimo architetto e urbanista, è relativo ad alcune ipotesi di ampliamento di Villa Elena, un progetto che, come quello descritto nel precedente post, non vide mai la luce, probabilmente, anche in questo caso, per gli accadimenti successivi all’Armistizio del 1943 e alla nascita della Repubblica Italiana il 2 giugno del 1946.

Ricordo, giusto per darvi qualche dettaglio in più – gli altri li trovate nel post dove parlo di Villa Elena – che l’edificio, al tempo dei Savoia, ebbe diverse destinazioni d’uso, come ad esempio canile e caserma dei Regi Carabinieri.

Tornando al progetto in questione, va detto che questo potrebbe derivare da una richiesta della Regina Elena, moglie di Vittorio Emanuele III, visto che tutti i disegni riportano un’intestazione che fa riferimento alla regina, si compone di molti disegni, a partire da quello che descrive il prospetto di Villa Elena al tempo, prospetto che vedete qui sotto, associato a una foto odierna dell’edificio e come dicevo non cambierà, visto l’abbandono del progetto.

Foto attuale e prospetto di Villa Elena contenuto nel progetto

Come già accennavo, il progetto prevedeva due varianti, che differivano per l’ampiezza dell’ampliamento, in entrambi i casi previsto nella direzione verso quello che oggi è l’ingresso carrabile che conduce all’ambasciata.

Nella prima ipotesi l’edificio doveva essere esteso in modo da tale da avere due ulteriori finestre, per un totale di dieci, che avrebbero affacciato su Via Salaria, come potete vedere qui sotto, dove nel disegno del progetto ho evidenziato l’estensione prevista.

Prima ipotesi progettuale

Fu poi preparata una seconda ipotesi, per un maggiore ampliamento, che avrebbe portato a dodici il numero delle finestre sulla facciata su Via Salaria, come potete vedere dal disegno qui sotto, dove anche qui ho evidenziato l’ampliamento.

Seconda ipotesi progettuale

C’è poi un ulteriore disegno, diverso dagli altri e che vedete qui sotto con le solite evidenziazioni, tanto da sembrare più un’illustrazione che uno schema progettuale e che sembra definire un’ulteriore alternativa, con un edificio piuttosto diverso da quello dei primi due scenari, cosa che farebbe pensare, più che a un ampliamento, alla realizzazione di una nuova ala dell’edificio.

Possibile terza ipotesi progettuale

Come dicevo all’inizio, il progetto non ebbe seguito e Villa Elena appare oggi esattamente come era al tempo, anche se oggi, a seguito delle vicissitudini che hanno interessato Villa Ada, è una proprietà privata di fatto ben separata da essa.

Il progetto del 1941 per la sistemazione di Via Salaria

Nel mio consueto peregrinare all’Archivio Centrale di Stato – ma anche grazie all’imbeccata di Riccardo, amico della pagina e grande esperto del quartiere – mi sono imbattuto nel Fondo Architetti e, nello specifico, nella raccolta dei lavori di Michele Busiri Vici, famosissimo architetto e urbanista.

Tra questi, ne ho trovati due, entrambi in qualche modo collegati con Villa Ada e che mi hanno colpito, anche se – lo anticipo subito – non hanno poi avuto seguito, probabilmente per gli accadimenti successivi all’Armistizio del 1943 e alla nascita della Repubblica Italiana il 2 giugno del 1946.

Il primo di questi progetti era relativo a una modifica della viabilità su Via Salaria, in corrispondenza del cosiddetto ingresso monumentale, voluto da e Vittorio Emanuele II che si trova in corrispondenza di Via di Villa Ada, come evidenziato dal disegno seguente, che ho arricchito da alcune annotazioni e mostra la situazione prima delle modifiche ipotizzate dal progetto e che, come già detto, corrisponde alla situazione odierna, visto che il progetto non fu poi portato a termine.

La zona oggetto del progetto – Assetto attuale

La viabilità su Via Salaria, come ben conosciamo anche oggi, era in parte resa meno agevole dalla presenza di Villa Lancellotti – o meglio, del casino nobile della villa originaria, che fu oggetto di lottizzazione sul finire degli anni Venti per la realizzazione del quartiere Verbano – e fu probabilmente per questo motivo che si pensò a una modifica che la rendesse più scorrevole, riducendo anche il traffico che passava proprio di fronte all’ingresso di quella che, al tempo, era Villa Savoia.

Nel disegno che segue, potete quindi vedere l’ipotesi progettuale, che ho evidenziato in verde e che prevedeva una separazione dei due sensi di marcia, con quello proveniente dal centro che sarebbe passato dietro a Villa Lancellotti, cosa evidentemente possibile attraverso un accordo con i suoi proprietari o con un esproprio forzoso, visto che come si può vedere, la deviazione avrebbe in parte ridotto la dimensione del giardino della villa.

La zona oggetto del progetto – La variante prevista

Come ho già anticipato, il progetto non vide mai la luce, probabilmente per gli accadimenti già menzionati, per cui la situazione odierna è identica a quella del 1941, con il restringimento ancora presente e che rende poco agevole il passaggio pedonale.

In conclusione, ancora una volta sono uscito dalla villa, ma solo di pochi metri, sperando comunque di condividere qualcosa di interessante, che aggiunge il solito mattoncino alla storia di Villa Ada.

martedì 14 ottobre 2025

I ritrovamenti di Antemnae durante la costruzione del forte

Premessa doverosa: la maggior parte delle informazioni e delle foto che seguono sono prese dal libro “Antemnae” di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli e dal successivo lavoro “A proposito dei vecchi scavi ad Antemnae” di Stefania Quilici, quindi considerate quanto dirò come ciò che, al tempo dei miei studi universitari, era considerata una “tesi compilativa”.

Ho pensato di scrivere questo post con l’obiettivo di fare una sintesi – direi estrema, vista la complessità del tema – di ciò che fu ritrovato a Monte Antenne durante i lavori per la costruzione del forte, ritrovamenti che consentirono, tra l’altro, di confermare le ipotesi fatte in passato da diversi studiosi – Gell, Bormann, Borsari e Lanciani – circa la posizione dell’antico insediamento di Antemnae.

La posizione dell’insediamento fu alla fine confermata proprio durante gli scavi fatti a partire dal 1883 dal Genio Militare per poter poi costruire i forte, uno dei quindici che costituivano, insieme ad altre infrastrutture, il sistema di difesa di Roma, realizzato dopo la proclamazione del Regno d’Italia e che avrebbe dovuto proteggere la città dall’eventuale tentativo francese di portare aiuto al Papa e ripristinare lo Stato Pontificio.

Tutti gli studiosi citati, collocavano l’insediamento in quello che oggi è Monte Antenne, come si può vedere dal collage qui sotto, che riporta le quattro piante, anche se c’erano ipotesi leggermente differenti nella determinazione del suo perimetro, ipotesi che ancora oggi in parte rimangono, con un’estensione di Antemnae che alcuni ritengono arrivasse fino all’interno di Villa Ada, più o meno nella zona del Colle del Roccolo che poi si congiunge con Monte Antenne, tant’è che alcuni considerano che i resti di quello che sembra potersi ritenere il muro di sostruzione della Salaria Vetus, che si trovano nella zona ce ho appena descritta, siano in realtà un’ulteriore traccia della cinta muraria di Antemnae.

Collage delle piante ottocentesche circa la posizione di Antemnae

La prima testimonianza sui ritrovamenti si ha in una pianta redatta dal Genio Militare nel 1886, che vedete qui sotto, purtroppo in una scala non proprio adatta ad avere una risoluzione tale da poter distinguere chiaramente ciò che fu trovato (la pianta è estratta dal libro citato, dato che, nonostante la mia visita all’Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio, non sono riuscito a trovare l’originale).

Pianta del Genio Militare - 1886

Fortunatamente, nell’opera citata è inclusa una pianta redatta sulla base di quella del Genio Militare, che ha una risoluzione notevole, apprezzabile solo cliccando sulla foto, così da scaricare la versione con dimensioni maggiori, consentendo quindi di evidenziare in modo molto chiaro i ritrovamenti, come mostrato dall’immagine seguente.

Pianta contenuta nel libro “Antemnae”

Come potete vedere, ho arricchito la pianta con:

(1): l’evidenziazione dei reperti più importanti trovati al tempo, con la sola eccezione di elementi minori, come anfore o piccole decorazioni, molti dei quali ahimé andati perduti, tra i quali spicca un frammento di un’antefissa con Giunone Sospita e una testa di giovane, che vedete qui sotto.

Antefissa con Giunone Sospita e testa di giovane

(2) una legenda che descrive il significato dei colori con i quali ho evidenziato i reperti.

(3) tre foto, relative agli unici elementi che ancora sono rintracciabili in loco, tutti legati al sistema idrico dell’insediamento, con una piccola eccezione per il “Pozzo 2”, visibile fino a qualche anno fa ma poi ricoperto per presunti motivi di sicurezza – personalmente non ritengo ce ne fosse bisogno, vista la profondità esigua – cosa che oggi permette solo di conoscerne la posizione esatta, ma non di apprezzarlo per come era giunto fino a noi.

(4): in viola quella che al tempo era la strada di accesso al forte, che aveva un tracciato leggermente diverso, soprattutto nel tratto che conduce al primo tornante, da quella che oggi è Via di Ponte Salario.

Per quanto riguarda alcuni dei reperti trovati al tempo, la figura che segue, sempre estratta dal libro citato, contiene dei disegni che ne rappresentano una sorta di ingrandimento, per i quali ho creato l’associazione alla pianta attraverso i numeri che trovate in entrambe le immagini.

Alcuni disegni dei reperti indicati nella pianta

Per quanto riguarda invece ciò che fu scoperto e documentato, prima che partissero i lavori di sbancamento e successiva costruzione del forte, vale la pena citare, con riferimento alla pianta che, come già detto, ho arricchito con altre informazioni:

Mura e fortificazioni: sicuramente di grande interesse – almeno per me – sia perché i ritrovamenti gettano qualche luce sull’effettiva estensione di Antemnae, tema sul quale ci sono ancora oggi alcune ipotesi che differiscono tra loro, ma anche perché, essendo appunto perimetrali, sono quegli elementi meno impattati dalla costruzione del forte, anche se, purtroppo, nulla sembra essere giunto sino a noi.

Le fortificazione erano prevalentemente realizzate con la classica tecnica tipica delle mura romane, con blocchi di cappellaccio, una roccia tufacea di origine vulcanica, non sempre regolari nelle dimensioni e posti l’uno sull’altro a secco.

Le mura, secondo le ipotesi fatte da diversi studiosi, seguivano l’andamento morfologico della zona, andamento in parte modificato, soprattutto sulla sommità del colle, dagli scavi fatti per la costruzione del forte. Si ipotizza inoltre che vi fossero alcune porte di accesso all’abitato, probabilmente localizzate in corrispondenza delle piccole valli che caratterizzano la zona.

Un elemento interessante è che alcune di queste mura, in particolare quelle che furono trovate in corrispondenza del secondo tornate di Via di Ponte Salario, erano realizzate sfruttando alcune formazioni naturali, come evidenziato dal seguente passaggio, estratto dal libro menzionato.

Estratto dal libro “Antemnae” – Pag. 27

Incuriosito da quanto scoperto, ho provato a dare un’occhiata nella zona, non per trovare i blocchi in cappellaccio, che già alla data del libro risultavano spariti, ma per provare a localizzare queste formazioni naturali che, con tutta la dovuta incertezza, potrebbero quello mostrate nel collage che segue, tutte presenti nella zona che, nella pianta mostrata, corrisponde ai resti delle mura identificati dal numero 3.

Possibili formazioni naturali sulle quali poggiavano le mura

Ritornando alle mura sparite, rimane una minima e unica speranza legata al tratto che nella pianta è identificato dal numero 1, tratto che potrebbe essere ancora presente, considerando che si trova sul versante più ripido e meno frequentato di Monte Antenne, peraltro in un’area che non fu toccata dalla costruzione del forte. Queste considerazioni potrebbero essere appunto a favore dell’ipotesi che ci sia ancora qualcosa, ipotesi che deve però essere verificata in loco, cosa che ancora devo fare e che richiede una certa perizia, vistala pericolosità del versante in questione.

Abitazioni: dalle notizie riportate, furono al tempo trovate trace di capanne, distribuite in modo abbastanza uniforme lungo il perimetro interno delle mura e tipicamente rilevate rispetto al terreno mediante pali. Queste capanne ragionevolmente risalivano al periodo primitivo dell’insediamento.

Furono ritrovate anche tracce di abitazioni in muratura, anche se qui le ipotesi tra i vari studiosi – gli stessi che hanno al tempo proposto le diverse ipotesi sulla collocazione di Antemnae – variano in modo sensibile, anche perché le ipotesi dell’esistenza di queste abitazioni furono fatte quasi esclusivamente sulla base di alcuni resti di muri rettilinei, interni al perimetro dell’insediamento.

Va infine segnalato il ritrovamento di quella che fu classificata come una villa romana, quindi successiva al periodo sabino, di ampiezza significativa e collocata sulla sommità del colle.

Cisterne, pozzi e cunicoli: secondo le ricerche fatte al tempo e a ciò che fu ritrovato, l’ipotesi è che l’insediamento avesse un sistema idrico estremamente sviluppato, tanto da far ipotizzare che ogni capanne e abitazione potesse avere il suo pozzo privato.

Di questo ampio sistema idrico, qualcosa è arrivato fino a noi, come evidenziato dalle foto che ho inserito nella pianta, anche se il continuo interramento, naturale o conseguente alle operazioni di ingegneria vegetazionale, sta mettendo parzialmente a rischio la possibilità di apprezzare chiaramente quanto ancora presente, come uno dei pozzi, oggi totalmente ricoperto, o il canale di captazione delle acque, il cui ingresso si sta gradualmente riducendo di ampiezza.

Cave: dovrei usare il singolare, dato che da quanto riportato nell’opera citata, furono trovate tracce di una sola di esse e, a dirla tutta, non ho trovato informazioni che confermassero l’effettiva esistenza di altre cave.

La cava si ritiene fosse collocata in prossimità del primo tornante, poco distante da dove oggi si trova l’asilo nido comunale, zona nella quale oggi sono rilevabili alcune formazioni rocciose che potrebbero essere ciò che rimane della cava e che vedete nel collage qui sotto.

Possibili resti della cava

Altri elementi: è stata ipotizzata la presenza di altri elementi, come necropoli e sepolture e anche quella di un possibile santuario, tutte ipotesi fatte in virtù del ritrovamento di piccoli oggetti, ritenuti sintomatici per quel tipo di opere. Va comunque detto che nell’opera citata si ribadisce la mancanza di prove certe al riguardo, con ipotesi che variano anche in modo sensibile tra i diversi studiosi.

Per concludere, va ovviamente ribadito che quanto ho scritto è ancor meno di una sintesi – anzi, il solo definirla sintesi è un azzardo – di quanto contenuto nel libro citato e negli studi successivi, che sono una trattazione estremamente dettagliata e completa di quello che era e poteva essere l’insediamento sabino di Antemnae, del quale, purtroppo, oggi non rimane praticamente nulla.

mercoledì 8 ottobre 2025

La difesa di Roma e l’eventuale distruzione dei ponti Salario e Nomentano

Esco nuovamente fuori dai confini di Villa Ada, anche se mantengo con essa una sorta di collegamento grazie a Forte Antenne, che gioca un ruolo importante rispetto al tema di oggi, legato alla difesa di Roma che si rese necessaria dopo l’Unità d’Italia.

Dopo il 1870, infatti, con la presa di Roma e la sua trasformazione in capitale del Regno d’Italia, nacque l’esigenza di dotare la città di un sistema difensivo moderno e, tra il 1877 e il 1891 fu costruito il cosiddetto Campo Trincerato di Roma, un complesso di fortificazioni permanenti disposto ad anello attorno alla città.

Il sistema comprendeva quindici forti principali e quattro batterie intermedie, collegati da strade militari e linee di comunicazione, come potete vedere dall’immagine qui sotto, relativa a un documento custodito presso l’Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio, nella quale ho evidenziato la posizione di Forte Antenne e della Batteria Nomentana, che sono collegate a ciò di cui vi parlerò tra poco.

Dislocazione dei forti e delle batterie del campo trincerato

La cosa che ho scoperto – e della quale non avevo idea neanch'io prima di trovare i documenti – è che, immagino come misura estrema in caso di invasione, era prevista la possibilità di far saltare, mediante l‘uso di cariche esplosive, i ponti Salario e Nomentano, così da bloccare due delle principali via di accesso alla città.

Questa ipotesi è ben dettagliata in due documenti distinti ma collegati, i cui frontespizi li vedete nell’immagine che segue.

Frontespizio dei due progetti per minare i ponti Salario e Nomentano

Come si può leggere, insieme a Ponte Salario il progetto prevedeva anche l’abbattimento del ponte ferroviario di quella che, al tempo, era la linea Roma-Sulmona, così da poter garantire l’impossibilità per le truppe francesi di superare l’Aniene, che nel caso dell’abbattimento del solo Ponte Salario, avrebbero potuto, seppur con qualche difficoltà, percorrere l’altro ponte.

Venendo al progetto di eventuale abbattimento dei ponti, nelle due immagini che seguono, nelle quali ho evidenziato i passaggi più importanti, vedete una sorta di specchietto riassuntivo delle motivazioni della scelta e del modo di implementarla.

Relazione su Ponte Salario e il ponte della ferrovia

Relazione su Ponte Nomentano

Mentre per l’esatto posizionamento delle cariche esplosive, i due disegni che seguono danno un’idea di massima.

Posizionamento delle cariche esplosive su Ponte Salario

Per il Ponte Salario, nel cui progetto ho evidenziato in verde le zone dove era previsto il posizionamento delle cariche, queste erano pensate per far crollare l’arcata centrale. 

Posizionamento delle cariche esplosive su Ponte Salario

Per il Ponte Nomentano, la situazione era più articolata, con molte cariche per la distruzione dell’edificio superiore e altre cariche per far crollare l’arcata e le pile di sostegno.

Fortunatamente, non ci fu mai alcun tentativo di invasione francese mirante a restaurare la sovranità del Papa nell’ormai ex Stato Pontificio, con i forti che persero rapidamente il loro ruolo difensivo e i ponti che rimasero al loro posto.

Oggi, dell’originale Ponte Salario, rimangono solo alcune arcate antiche, di non facile accesso, più volte rimaneggiate e sulle quali è stato poi costruito il ponte moderno, ma comunque in parte visibili, come mostrato nel collage che segue, che mostra una delle due arcate rimaste.

Una delle due antiche arcate di Ponte Salario

Il Ponte Nomentano è invece ancora al suo posto e, benché restaurato, mostra ancora il suo aspetto originale, come mostrato nel collage seguente.

Collage di foto del Ponte Nomentano

Per concludere, benché fuori da Villa Ada, spero che il tema sia stato interessante, soprattutto perché l’ipotesi di minare i due ponti era qualcosa a me sconosciuta e, parlando con altri esperti del periodo e della materia, probabilmente lo era anche per loro.

domenica 5 ottobre 2025

La Pianta di Roma del 1929

Curiosando sul sito dell’Archivio Storico Capitolino, mi sono imbattuto in una interessante pianta di Roma dell’Istituto Geografico De Agostini, parte della Guida del Touring del 1928.

Sul sito dell’archivio l’esemplare è datato 1929 ma, sia per la sua presenza nella guida dell’anno prima, sia per alcune considerazioni che farò più avanti, la pianta dovrebbe esser stata redatta qualche anno prima, probabilmente intorno alla metà degli anni Venti.

Dalla pianta in questione ho estratto l’area che include Villa Ada e le zone limitrofe, aggiungendovi poi alcune annotazioni, come potete vedere nell’immagine seguente, sulle quali tornerò più avanti.

Pianta di Roma del 1929 – Area di Villa Ada

La prima cosa che si nota è l’assenza, nel perimetro della villa, dell’area di Monte Antenne, cosa che si spiega con l’esproprio che di tale area fu fatto in occasione delle costruzione di Forte Antenne, che ricordo avvenne quando la villa era di proprietà di Giuseppe Telfener.

Questo esproprio ebbe di fatto carattere permanente e, anche se il forte perse in parte il suo ruolo nel Novecento, considerando i cambi di scenari geopolitici e delle tecniche di guerra, l’area in questione rimarrà fuori dalla villa, anche quando questa sarà riacquistata, nel 1904, da Vittorio Emanuele III.

Prima di addentrarmi nelle considerazioni sull’interno della villa, parto con quelle relative alle zone circostanti, che ritengo comunque interessanti, segnalandovi:

(1): la presenza, in alto a sinistra, del tiro a segno militare, del quale oggi, all’interno della villa, rimane traccia dei piani di tiro accanto ai quali si è anche formato uno stagno. Il tiro a segno sparirà poi del tutto con la realizzazione degli impianti sportivi dell’Acqua Acetosa, in occasione dei Giochi Olimpici del 1960.

(2): in viola, la prima parte del tracciato di quella che poi sarà Via Panama, che fu inaugurata il 10 ottobre proprio del 1929, cosa che rafforza i dubbi che la pianta sia stata effettivamente redatta in quell’anno, considerando che, per come è tracciata, la via non sembra ancora ultimata, tanto che non è riportato nemmeno il suo nome.

(3): in verde, sul lato destro della pianta, il vecchio tracciato di Via di Tor Fiorenza, diverso e più esteso rispetto all’attuale, e l’omonimo casale, dal quale probabilmente la via aveva preso il nome.

(4): sempre in verde, ma sul lato sinistro della pianta, la villa del Conte de Heritz, oggi sede dell’Università Luiss, che sorgeva su una proprietà molto estesa, tanto che prese vita anche una controversia per questioni di confine e servitù di passaggio con Vittorio Emanuele II.

(5): in porpora, il Vicolo di Sant’Agnese, che al tempo collegava la Via Salaria alla Via Nomentana, oggi sparito se non nel suo tratto iniziale, che da Via Nomentana arriva a Piazza Annibaliano e che, nella pianta, sanciva una sorta di confine tra la parte già costruita del Quartiere Trieste e quella che lo sarà più tardi e che estenderà il quartiere nella direzione di Piazza Vescovio e oltre.

(6): in colore verde scuro, i confini di Villa Della Porta, che poi diventerà Villa Lancellotti, che già mostrano le prime modifiche in conseguenza della sua quasi totale vendita, nel 1909, alla Cooperativa case e alloggi per impiegati dello Stato per lo sviluppo del quartiere Verbano, che confluirà poi nel più ampio quartiere Trieste. Dalla pianta si può infatti notare come la realizzazione delle vie Oglio, Benaco e Sebino e di Piazza Verbano avesse già ridotto significativamente la superficie in origine occupata della villa, che successivamente sarà ulteriormente ridotta in conseguenza dell’edificazione dell’area, riducendo l’intera proprietà all’edificio – in origine il casino nobile – che oggi si trova all’angolo tra Via Salaria e Via di Villa Ada e intorno al quale rimane solo una piccolissima parte di quello che era il giardino originario.

(7): in azzurro, il Fosso di Sant’Agnese, un corso d’acqua che correva nella valle tra via Nomentana e via Salaria, dove in tempi più moderni saranno poi realizzati Corso Trieste, già visibile nella pianta, Viale Eritrea e Viale Libia. Da ricordare che, prima che queste due strade fossero costruite, sulle due sponde del fosso era già presente un ampio insediamento, fatto prevalentemente di baracche, come ben testimoniato dalla foto che segue, presa dal sito www.romasparita.eu.

Insediamento sulle sponde del Fosso di Sant’Agnese

Entrando invece all’interno di Villa Ada – o meglio, come si chiamava allora, di Villa Savoia – si possono evidenziare alcuni elementi e qualche curiosità:

(1): in colore viola, un curioso errore sul nome delle ben note catacombe, che nella pianta sono menzionate come “Catacombe di Prescilla”, con la lettera “e” al posto della “i”.

(2): in giallo, quegli edifici dei quali oggi rimane qualche traccia, più o meno significativa, come quelli sul Colle del Roccolo, tra i quali il Casale Tanlongo, e la Casa dei Giochi di Jolanda di Savoia, non lontana dalla Palazzina Reale.

(3): in rosso un edificio mai esistito – potremmo definire la cosa una sorta di allucinazione ante intelligenza artificiale generativa – cosa confermata dal fatto che questo non risulta presente in nessuna delle piante precedenti, incluse quelle del Catasto Gregoriano e del Catasto Rustico.

(4): evidenziati in azzurro i due laghi voluti da Vittorio Emanuele II, il più grande dei due noto come Lago Ottocentesco, entrambi prosciugatisi piuttosto velocemente. Sul bacino di quello più piccolo, negli anni Settanta saranno poi realizzati i due laghetti che tutti ben conosciamo.

(5) in colore marrone, la cosiddetta Area Tanlongo, che sul finire degli anni Trenta sarà ceduta dai Savoia al Comune di Roma per un progetto di edilizia residenziale, che porterà alla realizzazione di Via Ettore Petrolini, Via Giacinta Pezzana e Via Anna Magnani e dei relativi edifici.

In conclusione, una pianta, non proprio precisissima, che però ci consente di gettare un ulteriore sguardo al passato, per apprezzare i cambiamenti che hanno portato la villa a essere quella della quale oggi tutti noi godiamo.