Ogni tanto, qualche amico perché l’Ambasciata D’Egitto sia all’interno di Villa Ada e quale sia la natura contrattuale che ne sancisce il diritto, pensando che la Palazzina Reale, sede appunto dell’ambasciata, sia data in affitto o comodato d’uso da parte del Comune di Roma, quando invece è una proprietà privata della Repubblica D’Egitto, che l’acquistò nel 1997, pagandola 25 miliardi di lire, anche grazie alla rinuncia al diritto di prelazione, che lo Stato o il Comune avrebbero potuto esercitare.
Per capire perché ciò sia stato possibile, bisogna tornare indietro nel tempo, nel 1947, quando per una manciata di giorni si vennero a creare la condizioni che, negli anni successivi, avrebbero portato a una frammentazione dei beni dei Savoia – e quindi anche di quelli presenti a Villa Ada – e alle relative scelte che gli eredi decisero di fare.
La Costituzione Italiana, che entrò ufficialmente in vigore il primo gennaio del 1948, conteneva, tra le cosiddette “Disposizioni transitorie e finali”, la numero XIII, che citava, nel terzo capoverso, “I beni, esistenti nel territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli” (nella prima immagine il testo originale, con evidenziato il rosso il punto XIII).
Il testo originale, con evidenziato il rosso la disposizione XIII
Tale disposizione, quindi, prevedeva che i beni del re, al tempo Vittorio Emanuele III, fossero avocati dallo Stato, includendo anche quelli delle consorti e dei discendenti maschi, cosa che avrebbe di fatto portato lo Stato ad acquisire l’intero patrimonio dei Savoia. Per uno scherzo del destino, tuttavia, Vittorio Emanuele III morì il 28 dicembre, cioè tre giorni prima dell’entrata in vigore della Costituzione, e il titolo di re, come da prassi, passò al figlio Umberto.
L’annuncio della morte di Vittorio Emanuele III e l’annuncio del nuovo re
La disposizione della Costituzione, pertanto, essendo per così dire centrata sul ruolo più che sulle persone, ebbe effetto solo sui beni di Umberto II, della sua consorte Maria Josè del Belgio e della sua discendenza – Vittorio Emanuele, Maria Pia e Maria Gabriella – ma non sulle figlie di Vittorio Emanuele III – Mafalda, Maria Francesca, Giovanna e Iolanda Margherita – che quindi entrarono in possesso della loro quota di eredità, che includeva gran parte dei beni presenti nella Villa, inclusa la Palazzina Reale.
A partire da quella data, furono molti gli eventi che interessarono la villa, a partire da un primo tentativo di progetto speculativo, che prevedeva la realizzazione di edifici di pregio, cosa che sarebbe stata possibile anche se la villa era vincolata a parco privato dal Piano Regolatore del 1931, vincolo che prevedeva comunque la sua edificabilità per 1/20 della superficie totale, cioè circa 8 ettari dei 160 complessivi.
Nel 1951 ci fu una nuova variante al piano regolatore e, finalmente, nel 1954 fu trasformato il vincolo da parco privato a parco pubblico (nell’ultima immagine l’estratto della Gazzetta Ufficiale del 17 maggio 1954), per giungere infine al 1957, quando lo Stato acquisì dai Savoia i prima 64 ettari della vila, che furono formalmente aperti pubblico nel 1958 ma operativamente nel 1960, per la necessità di eseguire lavori di messa in sicurezza, e con il trasferimento della proprietà al Comune di Roma.
Estratto della Gazzetta Ufficiale del 17 maggio 1954
Nel 1987, le eredi Savoia vendettero una parte consistente dei rimanenti beni presenti nella villa – il vincolo a parco pubblico, ovviamente, riguardava la destinazione della villa e non la sua proprietà – a Renato Bocchi e alle sue società, prima a “Immobiliare Tirrenia” e successivamente a “Villa Ada 87”, beni che includevano i principali edifici, tant’è che alle eredi rimasero solamente il Casino Pallavicini e Villa Polissena.
Dopo tale data, con interventi e accordi vari, si arriverà al 1996, quando il Comune acquisirà la restante parte della villa, escludendo le due proprietà rimaste alle eredi Savoia e lasciando nella disponibilità di Bocchi la Palazzina Reale, che appunto la venderà poi alla Repubblica D’Egitto, sena che né lo Stato né il Comune esercitassero il previsto diritto di prelazione. Questo mancato esercizio del diritto di prelazione sembra sia dovuto a un accordo non scritto tra l’Italia e l’Egitto proprio sulla Palazzina Reale, quasi fosse questa una sorta di ringraziamento per avere l’Egitto accolto Vittorio Emanuele III, che dopo la sua abdicazione del 1946 in favore del figlio Umberto, lascio l’Italia per autoesiliarsi nel paese africano.
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