Il Tempio di Flora, così come si presenta oggi
Tra il 1785 e il 1789, il principe Luigi Pallavicini acquistò le vigne di Monsignor Saliceti, di Michele Capocaccia e di Domenico Calzamiglia, dando di fatto vita all’embrione di quella che, nel tempo e con diversi passaggi di proprietà, sarebbe diventata Villa Ada Savoia.
Per i lavori di sistemazione, il principe chiamò l’architetto francese Auguste Chevalle de Saint Hubert, che già operava a Roma e dove si era trasferito dopo aver vinto il “Prix de Rome”, con l’idea di creare un parco ispirato ai criteri formali e geometrici in voga in quei tempi, tipici appunto dei cosiddetti giardini all’italiana, con l’intento di trasformare quelli che in origine erano vigneti in una sorta di villa estiva.
Tra i lavori fatti, rientra anche la costruzione di un piccolo edificio per il tempo libero, che dai documenti disponibili e dalle mappe storiche è possibile appunto datare intorno al finire del Settecento, edificio riportato nella pianta del Catasto Gregoriano del 1816 e che poi prese il nome di Coffee-house o Tempio di Flora (Dea romana e italica della fioritura dei cereali e delle altre piante utili all'alimentazione, compresi vigneti e alberi da frutto, conosciuta anche come Dea della primavera).
L’edificio, collocato nella zona prospicente la Via Salaria e adiacente a uno dei viali già presenti, testimonia il gusto imperiale vigente all’epoca, rintracciabile nei tratti architettonici della costruzione, con pronao e facciata neoclassici, che nasconde sul retro un corpo absidato, a riprendere il motivo del colonnato, affacciato su un sottostante invaso ad anfiteatro, con al centro una fontana in ghisa tardo-ottocentesca, frutto di un rimaneggiamento in chiave romantica del luogo.
Un interessante approfondimento è disponibile nel lavoro “Auguste Hubert, o Cheval de Saint Hubert (Parigi 1755-1798)” di Susanna Pasquali, che aggiunge dettagli di sicuro interesse, come ad esempio il fatto che, nel lungo portico sottostante al colonnato fossero messe a riparo, durante l’inverno, le piante dell’antistante “giardino olandese”.
Sempre nello stesso lavoro, sono contenute anche alcune belle illustrazioni storiche, come gli studi di Luigi Trezza sull’edificio,
un disegno di Charles Heathcote Tatham della facciata
e, infine, due ortografie, rispettivamente esterna e interna.
Questo tipo di struttura, piuttosto di moda all’epoca, è tra l’altro rintracciabile anche altrove, come ad esempio nel Tempio di Esculapio di Villa Borghese, realizzato praticamente nello stesso periodo e anch’esso ispirato ai canoni classici diffusi da Andrea Palladio nel 1570, con proporzioni simmetriche perfette sia in pianta che in alzato.
All’Hubert fu poi affiancato a Francesco Bettini, eclettico e autodidatta creatore di giardini, che aveva già curato il giardino di Villa Doria, di proprietà del Cardinale Giuseppe Maria Doria e situata poco fuori Porta Pinciana, giardini che avevano colpito Luigi Pallavicini, tanto che appunto chiese a Bettini di occuparsi anche dei lavori all’interno di quella che sarebbe poi divenuta Villa Ada.
La collaborazione con l’architetto francese non ebbe però vita lunga, tanto che l’Hubert fu licenziato, sembra per futili motivi, come spesso accade, e la direzione passò totalmente a Francesco Bettini, affiancato poi dall’architetto Carlo Puri De Marchis.
Sul rapporto tra il Bettini e l’Hubert, è interessante riportare cosa il primo riporta al Cardinale Doria in una sua lettera, dove gli dice che il francese aveva progettato e costruito un “cafeaus il quale a da avere la figura di un tempio greco, dal costo di oltre mille scudi, con attorno un anfiteatro da seicento scudi”.
Il Tempio di Flora fu poi probabilmente usato anche dai Savoia, tant’è che nel Fondo della Real Casa, custodito presso l’Archivio Centrale dello Stato, ho trovato un foglio che riporta una sorta di inventario, risalente ai primi del Novecento, di quanto era al tempo presente nella Coffee-House.
Ho poi trovato in rete una bella foto, risalente probabilmente all’Ottocento, che mostra in tutta la sua magnificenza il tempio, con la fontana funzionante e una vegetazione decisamente curata e rigogliosa.
Purtroppo, da allora, l’edificio ne ha viste tante, con un restauro fatto tra i 1999 e il 2000, con i fondi del Giubileo (circa 4 miliardi) e una successiva opera di pulizia nel 2013, attività alle quali però non è seguita una destinazione d’uso specifica, cosa che ha causato un nuovo abbandono dell’edificio con il conseguente suo degrado, come ad esempio già testimoniato da un articolo del 2013 di La Repubblica e da un altro del 2020 di Roma H24. Per chi fosse interessato, poi, qui c’è un video da me girato nel 2022 che testimonia lo stato attuale del tempio.
Nel 2010 suscitò allarme la notizia riportata da Il Corriere della Sera, relativa all’intenzione del Comune di privatizzare alcuni edifici della villa, tra i quali il Tempio di Flora, allarme poi fortunatamente rientrato visto che all’idea non venne poi dato seguito.
Come se non bastasse l’abbandono, infine, ulteriori danni hanno fatti gli innumerevoli atti vandalici, come ad esempio l’ultimo in ordine di tempo, nel 2021.
Vorrei concludere con una nota di speranza, ma ahimè non ci riesco, visto che, alla data di scrittura del post: (1) il Tempio di Flora non venne menzionato nel comunicato che, nel 2022, annunciava lo stanziamento di 2 milioni di euro per Villa Ada;(2) il programma “Caput Mundi”, anch’esso presentato nel 2022 e che prevedeva anche interventi sul Tempio di Flora, non sembra poi aver avuto seguito; (3) tra i progetti finanziati dal PNRR ce n’era uno specifico per il Tempio di Flora, che però a oggi non ha ricevuto alcun finanziamento.
Estratto degli interventi previsti dal progetto “Caput Mundi” Insomma, il mio ottimismo è sempre duro a morire, ma in questo caso devo ammettere che lo vedo oramai sul letto di morte.
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