venerdì 20 giugno 2025

Il Casino Pallavicini

Google Earth - Il Casino Pallavicini in una veduta prospettica

Tra il 1785 e il 1789, il principe Luigi Pallavicini acquistò le vigne di Monsignor Saliceti, di Michele Capocaccia e di Domenico Calzamiglia, dando di fatto vita all’embrione di quella che, nel tempo, sarebbe diventata Villa Ada Savoia, così come ho raccontato con maggiori dettagli nel post sulla storia della villa.

All’interno di queste vigne erano presenti, oltre ad alcuni edifici di servizio, anche i cosiddetti “casini di delizia” o “casini nobili” – oggi li chiameremo case di campagna – e, nello specifico, con riferimento ai loro nomi attuali: Villa Elena per la vigna Saliceti; il Casino Pallavicini per vigna Calzamiglia; la casa del guardiano per vigna Capocaccia.

Luigi Pallavicini, dopo l’acquisto, avviò una serie di imponenti lavori, che per ampiezza sono secondi solo a quelli che intraprenderà successivamente Vittorio Emanuele II, affidandoli inizialmente all’architetto francese Auguste Chevalle de Saint Hubert, che già operava a Roma, dove si era trasferito dopo aver vinto il “Prix de Rome”, e successivamente, dopo il licenziamento del francese per quelli che sembrano fossero futili motivi, a Francesco Bettini, creatore autodidatta di giardini, al quale fu anche affiancato l’architetto Carlo Puri Demarchis, già alle dipendenze del Principe Pallavicini.

Dei tre casini nobili, forse per la sua presenza all’interno della villa, piuttosto che adiacente alla Via Salaria come gli altri due, Luigi Pallavicini scelse l’edificio che ancora oggi porta il suo nome, adibendolo a sua residenza principale.

L’edificio è naturalmente presente nel Catasto Gregoriano del 1816, identificato nel brogliardo associato al catasto come “casa con corte ad uso di villeggiatura” di proprietà di Luigi Pallavicini e indicato come “casa con corte ad uso di villeggiatura”.

Catasto Gregoriano – Pianta e brogliardo

La struttura del Casino, di fatto immutata nel tempo, è quella di un edificio a due piani con facciata caratterizzata da una doppia rampa di scale che conducono all'ingresso al piano nobile, nella cui parte inferiore fu ricavato un piccolo portico, coronato da un cosiddetto arco a sesto ribassato.

Foto presa da “Le ville a Roma – Architetture e giardini dal 1870 al 1930” – Alberta Campitelli

 

Una veduta laterale della rampa di scale

Nel 1835, Luigi Pallavicini vendette la villa ai Principi Potenziani, potente famiglia reatina, che le tennero, praticamente senza effettuare alcun lavoro aggiuntivo, sino al 1872, quando Vittorio Emanuele II di Savoia, primo re d’Italia, le acquistò, ampliandole con ulteriori acquisizioni, fino a dare alla villa la fisionomia che oggi conosciamo.

Tuttavia, considerando il ruolo dei Savoia, Vittorio Emanuele II non ritenne il Casino Pallavicini adatto alle esigenze di una famiglia reale, decidendo di costruire un nuovo palazzo – quello che oggi chiamiamo Palazzina Reale – e lasciando il Casino Pallavicini ad altri usi, peraltro rinominandolo in Villa Maria, in onore della moglie Maria Adelaide, Principessa d’Austria.

Relativamente agli interni del casino, presso l’Archivio Centrale dello Stato sono custoditi alcuni documenti che riportano l’elenco dei complementi d’arredo, dai quali si evince almeno la presenza di due salotti e una camera da letto.

Fondo della Real Casa - Inventario degli oggetti presenti nel Villino Maria

Oggi, anche in seguito alle vicissitudini che hanno segnato la vita della villa e il possedimento dei beni dei Savoia in essa contenuti, il Casino Pallavicini è una proprietà privata appartenente agli eredi della famiglia, in particolare ai Calvi di Bergolo, imparentati con i Savoia in quanto Carlo fu il marito di Jolanda di Savoia.

L’edificio è ovviamente presente nel catasto moderno, accatastata in categoria A/7 (villini), con una superfice di 520 metri quadrati, dotato di 15 vani e mezzo e con una rendita catastale di poco più di 5.150 euro.

Catasto Moderno – Pianta e visura

Per la sua natura privata, il Casino non è ovviamente visitabile ed è visibile solo con una certa difficoltà a causa dell’alta siepe che lo circonda.

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