domenica 22 giugno 2025

Quando a Villa Ada si produceva (forse) il vino

Quel che resta oggi dell’edificio al servizio della vigna

Probabilmente per volere di Vittorio Emanuele II – non ho trovato documenti al riguardo - all’interno di Villa Ada fu impiantato un piccolo vigneto, nella zona del Colle del Roccolo, sul versante che degrada verso Via Panama, che però non ebbe lunga vita e non è neanche ben chiaro se poi, dalle uve, si sia mai effettivamente prodotto il vino.

Assumendo che la vigna fu voluta da Vittorio Emanuele II, resta poi anche il dubbio sul fatto che questa sia stata manutenuta è sfruttata nel periodo che va dal 1879 al 1903, quando la villa appartenne, nell’ordine, a Giuseppe Telfener, a sua suocera Eveline Visera e alla Banca Romana, fino a quando, a maggio del 1903, i Savoia si ristabilirono nella villa per formalizzarne poi l’acquisto nel 1904.

A sollevare ulteriori dubbi sull’epoca di impianto della vigna, ci sono anche le piante del Catasto Gregoriano del 1816 e del Catasto Rustico, nel suo ultimo aggiornamento del 1903 nessuna delle quali riporta l’edificio al servizio della vigna – si vedano le due immagini che seguono – che si trovava praticamente al suo centro e del quale oggi rimane solamente il rudere, come si può vedere anche in un mio video disponibile girato sul posto.

La pianta del Catasto Gregoriano, con evidenziata l’area della vigna

La pianta del Catasto Rustico, con evidenziata l’area della vigna

Ora, se è ragionevole che tale edificio non sia presente nel Catasto Gregoriano, visto che questo risale a ben prima che Vittorio Emanuele II acquistò la villa dalla famiglia Potenziani, è strana la sua mancanza nel Catasto Rustico, il cui ultimo aggiornamento coincide con l’anno nel quale Vittorio Emanuele II rientrerà nella villa, cosa che potrebbe suggerire alcune ipotesi:

(1) l’edificio fu realizzato precedentemente al 1903, da Vittorio Emanuele II o dagli altri proprietari, senza però darne comunicazione al catasto;

(2) l’edificio fu realizzato a ridosso del 1903, facendo mancare i tempi tecnici per il suo inserimento nel Catasto Rustico, cosa che implicherebbe che la sua costruzione avvenne nel periodo in cui la villa era della Banca Romana, che l’aveva acquistata nel 1898, ipotesi che a me pare decisamente poco probabile;

(3) l’edificio fu realizzato da Vittorio Emanuele III, quindi successivamente al 1903, anche se non si capisce perché avrebbe dovuto costruirlo se la sua intenzione fu poi quella di sostituire la vigna con un piccolo bosco di pini, a meno ovviamente che tale edificio non avesse un ruolo diverso da quello ipotizzato e fosse invece legato al cambio di destinazione dell’area. A sostenere tale ipotesi, comunque, ci sono due piante del fondo della Real Casa, custodito presso l’Archivio Centrale dello Stato, nessuna delle quali è datata ma che dovrebbero entrambe risalire all’inizio 900, nelle quali è menzionata la vigna ma non è presente l’edificio al suo centro, come vedete nella settima e ottava immagine, dove ho evidenziato l’area della vigna e altri riferimenti.

Pianta del Fondo della Real Casa, con evidenziata l’area della vigna

Pianta del Fondo della Real Casa, con evidenziata l’area della vigna

La seconda di queste piante è particolarmente interessante per tutte le annotazioni presenti, cosa che lascia supporre che fu usata da Vittorio Emanuele III al momento di rientrare in possesso della villa, quasi fosse una sorta di censimento di ciò che era presente e degli interventi che lui pianificò di fare.

A rendere il tutto ancora meno chiaro, cito anche la pianta della Real Casa, sempre custodita presso lo stesso fondo e anch’essa risalente ai primi anni del 900 – viene considerata del 1904, data della stipula del contratto di acquisto da parte dei Savoia, ma non ho trovato conferme in merito – che non solo non riporta l’edificio, ma nemmeno la vigna, come potete vedere qui sotto.

Pianta del Fondo della Real Casa, con evidenziata l’area della vigna

Insomma, sulle date, soprattutto su quella di costruzione dell’edificio, devo ammettere che non ho le idee chiare e, a meno di non trovare qualche documento presso i vari archivi dove ogni tanto mi reco, temo si debba rimanere nel campo delle ipotesi.

Quello che è certo, invece, è il fatto che la vigna fu progressivamente smantellata e per volere di Vittorio Emanuele III, come ci racconta Enrico D’Assia, figlio di Mafalda di Savoia, nel suo libro “Il lampadario di cristallo”, dove c’è il passaggio che vedete nell’immagine seguente e che testimonia la progressiva sostituzione della vigna con un piccolo bosco di pini.

Estratto dal libro “Il lampadario di cristallo”

Relativamente al mutare della vigna, dalla sua funzione originale alla trasformazione in bosco di pini, aiutano anche alcune foto aeree, rispettivamente del 1919, 1929 (presunta), 1942, 1954 e 1960, che vedete nel collage qui sotto.

Foto aeree dal 1919 al 1960, con evidenziata l’area della vigna

In tutte è chiaramente visibile l’edificio del quale stiamo parlando, mentre per quanto riguarda la vigna, la risoluzione delle foto non consente di capire chiaramente quando ci sia stata la sua trasformazione in boschetto di pini, visto che, se in alcune si rileva chiaramente la struttura geometrica dei filari, non è possibile però dire se si tratti effettivamente della vite o se siano i pini giovani, piantati seguendo la stessa struttura geometrica.

Da questo punto di vista, la foto del 1942 è forse la più indicativa, dato che mostra ampie zone scoperte, segno forse che transizione da vigneto a bosco era in corso, anche se poi, confrontando quella del 1954, dove il boschetto sembra decisamente folto, e quella del 1960, dove gli alberi risultano più diradati, viene il sospetto che, nel tempo, ci siano stai abbattimenti e nuove piantumazioni.

Interessante anche il fatto che l’edificio sia ancora censito nel Catasto Moderno, come si può vedere qui sotto, che riporta per esso il foglio 542 e la particella 4, mentre la zona dove sorgeva la vigna, alla quale è assegnata la particella 5, è chiaramente identificabile, con una forma del tutto simile a quella rilevabile dalle foto aeree.

La pianta del Catasto Moderno, con evidenziato l’edificio di servizio

A tale proposito, curioso il fatto – ma questo accade per altre proprietà interne alla villa – che la visura catastale riporti ancora una proprietà attribuita alla società Villa Ada 87 SpA, del costruttore Renato Bocchi, che aveva acquistato dalle eredi di Vittorio Emanuele III le loro proprietà, con la sola eccezione di quelle del figlio Umberto II che erano state confiscate dallo Stato nel 1948 in accordo a una delle disposizioni previste nella Costituzione italiana, tema del quale ho parlato in questo post.  

La visura dell’edificio di servizio

Insomma, una ricerca complessa e ricca di aspetti ancora da chiarire, per un’area e un edificio di non particolare valore storico, ma che hanno sempre suscitato la mia curiosità, un po’ per la sua collocazione, in una delle zone più selvagge della villa, un po’ per il fatto che l’edificio, quando si percorrono i sentieri, appare quasi all’improvviso, con un non so che di misterioso.

sabato 21 giugno 2025

Le vicissitudini di Parco Rabin e (probabilmente) una spiegazione per i due muri su Via Panama

Nel Fondo della Real Casa – Patrimonio Privato, custodito presso l’Archivio Centrale dello Stato e purtroppo ancora non catalogato, se non in piccolissima parte, ho trovato, tra le altre cose, un’interessante pianta, datata 13 maggio 1939, che traccia con estrema precisione l’area della villa verso Via Panama, riportando non solo le strade al tempo già realizzate, ma anche tutte le particelle catastali nelle quali la zona era suddivisa, cosa che lascia intendere che la pianta in questione, come peraltro supportato da una nota a piè di pagina, potesse essere un estratto di un piano regolatore o di un’ipotesi del cambio di destinazione d’uso di alcune aree, dato che nella variante del piano regolatore del 1926 e nel successivo piano regolatore del 1931, l’area in questione veniva indicata come area di “Demolizione e ricostruzione intensiva.

La pianta dei piani regolatori del 1926 e 1931, con la legenda illustrativa

Comunque, quale che sia l’origine della pianta in questione, le informazioni racchiuse in essa sono molto interessanti per due diversi aspetti, collegati tra loro, che consentono di ricostruire un altro pezzetto di storia della villa.

Il primo, che a me ha peraltro sorpreso, è che già al tempo l’area su Via Panama che poi sarebbe diventata parco pubblico, successivamente intitolato, in occasione dei 100 anni dalla sua nascita, a Yitzhak Rabin, che fu il quinto Primo Ministro dello Stato d’Israele nonché premio Nobel per la pace nel 1994, era considerata come tale, come si può vedere nell’immagine seguente, che riporta la pianta in questione con alcune mie annotazioni, sulle quali tornerò più avanti.

Il pannello illustrativo posto all’interno di Parco Rabin


La pianta del 1939, con alcune mie annotazioni

Tuttavia, benché già nel 1939 si parlava di un parco pubblico, in anni decisamente più recenti il vincolo che destinava l’area a parco pubblico fu a rischio cancellazione, come si può leggere dall’articolo dell’aprile 2013 del quotidiano Metro, azienda purtroppo da poco andata in liquidazione.

L’articolo di Metro sul vincolo di Villa Ada

Tale rischio fu dovuto a una discrepanza tra il Decreto del 1954 che istituiva il vincolo, nel quale era chiaramente riportato che questo riguardava l’area verde fino al limite di Via Panama e la cartografia derivata dal Decreto, nella quale il confine del vincolo coincideva invece con il muro della villa.

Estratto dal Decreto del 17 maggio 1954

Fortunatamente, pochi mesi dopo e come raccontato da un altro articolo della stessa testata, datato novembre 2013, fu trovata la cartografia originale associata al Decreto, che riportava un confine coerente con quanto stabilito testualmente dal vincolo, salvando quindi Parco Rabin da possibili – e direi probabili – azioni speculative.

L’articolo di Metro sul ritrovamento della cartografia corretta

Il secondo aspetto, che a me ha intrigato assai di più, è legato all’area che al tempo si trovava tra il limite destro del parco pubblico, che sarebbe poi diventato Parco Rabin, e gli allora confini della villa, che nella pianta in questione è nella parte destra e, in un’ulteriore pianta, meno dettagliata e sempre custodita presso l’Archivio di Stato, è evidenziata in color fucsia.

La pianta del Fondo della Real Casa, con evidenziata la zona adiacente alla villa

Questa zona, una sorta di cuscinetto di separazione tra la villa dei Savoia e il parco pubblico, coincide quasi alla perfezione con l’area che oggi è compresa tra i due muri, il cosiddetto “muro moderno”, che separa la villa da Parco Rabin, e il “muro storico”, più antico e che si trova oggi all’interno della villa, come evidenziato dall’immagine che segue, ottenuta sovrapponendo la pianta con un’immagine satellitare presa da Google Earth.

Sovrapposizione tra la pianta della Real Casa e l’immagine presa da Google Earth

L’ipotesi che ho fatto, pertanto, è che i Savoia, in particolare Vittorio Emanuele III, decisero di acquistare questa zona cuscinetto più o meno contestualmente alla decisione, immagino del Comune, di istituire il parco pubblico e che, perfezionato l’acquisto, costruirono un nuovo muro per ridefinire i confini della villa, creando quella zona compresa tra i due muri, ancora oggi ben visibile e percorribile, come ho fatto in un mio video, nel quale percorro tale zona e ne racconto la storia.

A proposito del muro storico, inoltre, se l’ipotesi fatta fosse corretta, sarebbe confermato che la controversia che, a fine Ottocento, nacque tra il Conte Giovanni Campbell Smith de Heritz e Vittorio Emanuele II e relativa proprio alla realizzazione e alla conseguente suddivisione dei costi di un muro di separazione tra le proprietà dei due, fosse effettivamente riferita al muro storico, che avrebbe quindi più di 150 anni, cosa che giustificherebbe il suo stato attuale, con il muro interessato da numerosissimi crolli e, in alcuni tratti, quasi irrintracciabile.

Sempre in relazione al muro storico e a quello moderno, viene in aiuto anche una foto aerea del febbraio 1919, nella quale si rileva, grazie all’assenza della vegetazione, un buon tratto del muro storico, con la sua tipica forma arcuata, tratto che ho evidenziato in colore marrone nell’immagine seguente, mentre non è presente quello moderno, a conferma del fatto che quest’ultimo fu costruito successivamente.

Il muro storico in una foto aerea del 1919

Altro elemento da approfondire, ammesso ci si riesca e sempre assumendo la ragionevolezza dell’ipotesi fatta, è il perché dell’acquisto, considerando che in relazione all’estensione della villa, la zona in questione ne rappresentava una porzione irrisoria e, inoltre, non si ha traccia di un suo utilizzo da parte dei Savoia, né della costruzione di edifici o manufatti, anche se va detto che, non troppi anni dopo, gli esiti del conflitto e il successivo referendum per la scelta tra Monarchia e Repubblica, molto probabilmente scombinarono i piani della famiglia reale.

Forse – e sottolineo forse – i Savoia acquistarono quell’area solo per evitare che, essendo l’area edificabile, potessero sorgere edifici troppo a ridosso dell’allora muro storico, dai quali si potesse sbirciare all’interno di Villa Ada. Acquistandola, invece, considerando la presenza del parco pubblico, non ci sarebbe stati edifici nelle immediate adiacenze.

Comunque, e qui mi fermo, forse fu proprio l’acquisto della zona cuscinetto da parte dei Savoia che, creando una continuità tra Villa Ada e il parco pubblico su Via Panama, consentì poi di imporre il vincolo di intrasformabilità sull’intera area, cosa che forse sarebbe stata impossibile nel caso, tra le due, fosse rimasta una zona di separazione, probabilmente di proprietà di soggetti privati.

venerdì 20 giugno 2025

L’antica città di Antemnae e il secondo tornante di Via di Ponte Salario

Il secondo tornante di Via di Ponte Salario, in una foto degli anni 70

Il libro "Antemnae" di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, pubblicato nel 1978 e quindi opera non recentissima (1978), rappresenta comunque la più completa opera sull'antica città sabina di Antemnae, opera che tra l’altro è stata poi integrata da un piccolo aggiornamento, pubblicato nel 1985 da Stefania Quilici Gigli

Il libro "Antemnae" di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli

La lettura del libro è molto interessante e, benché l’opera sia molto tecnica e complessa, consente comunque di capire meglio la storia che ha caratterizzato l’insediamento sabino, del quale purtroppo oggi non rimane praticamente nulla, dato che molti dei resti furono spazzati via dalla costruzione, tra il 1882 e il 1891, di Forte Antenne, ma anche in parta dai successivi lavori per la realizzazione del campeggio, che avvennero in occasione dei giochi olimpici di Roma del 1960.

A oggi, curiosamente, una delle zone più interessanti è quella che si trova in corrispondenza del secondo tornante di Via di Ponte Salario, dove è presente quel che resta del canale di captazione del sistema idrico di Antemnae, canale che fu intercettato proprio dal “taglio” necessario alla realizzazione della strada.

Dalla lettura del libro, però, ho scoperto che la zona del tornante riservava anche altre sorprese, come la presenza di resti delle mura arcaiche della città, nella loro classica realizzazione con parallelepipedi in cappellaccio, resti oramai purtroppo spariti, e un pozzo idrico.

È proprio questo secondo pozzo che ha catturato più di ogni altra cosa il mio interesse, dato che un altro pozzo idrico è presente, a una quota leggermente superiore, a circa 60 metri in direzione est, anche se poi tale pozzo è stato completamente – e incredibilmente – ricoperto di terra, per cui al momento non risulta più visibile.

Il pozzo, la cui posizione è evidenziata, insieme a quelle del condotto e delle mura, nelle planimetrie del Genio Militare del 1886, si trova poco sotto alla scala che rappresentava la parte iniziale di un sentiero che portava verso la sommità di Monte Antenne e che, nella foto all’inizio del post, è facilmente individuabile dalla presenza di una staccionata.

La planimetria del Genio Militare del 1886, presa dal libro "Antemnae"

Oggi, purtroppo, come si può vedere nell’immagine seguente, che rappresenta lo stesso tornante ai giorni nostri – ho cercato di fare la foto con un’inquadratura che fosse quanto più simile possibile a quella della foto presa dal libro – la crescita della vegetazione spontanea ha reso praticamente invisibile il canale di captazione delle acque, che risulta nascosto e individuabile solo arrivandoci in prossimità.

Il secondo tornante di Via di Ponte Salario, come si presenta oggi

Inoltre, vuoi per il naturale deperimento che per la scarsa manutenzione, la staccionata è del tutto sparita e il sentiero è di fatto irrintracciabile, se non con l’eccezione del poco che rimane della scaletta della quale vi parlavo. 

Le scalette, come si presentano oggi

Tornando alla posizione pozzo, indicata nella foto presa dal libro con il numero 2 e da me evidenziata con un quadrato in colore giallo, è curioso che oggi vi si trovi un manufatto di difficile interpretazione, data la presenza di un tombino la cui fattura è sicuramente moderna, che sembra appunto chiudere qualcosa che a prima vista appare più antico e che potrebbe essere ciò che resta del pozzo.

Il pozzo, come si presenta oggi

Colpisce inoltre anche il posizionamento del tombino in ferro, che normalmente viene posto a livello del terreno, mentre qui appare rilevato, come se appunto fosse una sorta di “tappo” per il possibile pozzo, cosa che però potrebbe essere spiegata con il progressivo cedimento del terreno, che nel tempo ha reso sempre più visibili le pareti del pozzo, realizzate in materiale più resistente.

Il cippo Altieri sul Colle del Roccolo

 

Il cippo, così come si presenta oggi

Il cippo si trova a pochi metri da uno dei sentieri che portano alla Torretta del Roccolo ed è indicato sulla mia mappa come “Cippo Altieri” e documentato in un mio video.

Un cippo che, per lungo tempo, ha rappresentato un grosso grattacapo, visto che ho cercato per molto tempo di capire chi potesse averlo posto e quando, non trovando però praticamente alcuna informazione, fino a quando, grazie alla preziosa imbeccata di Matteo, un amico della villa e che ringrazio di cuore, sono potuto finalmente giungere a quella che, spero e credo, sia la conclusione giusta.

Il punto di partenza è stato proprio la stella incisa su uno dei lati del cippo, stella evidenziata in giallo nella seconda immagine, che grazie al prezioso suggerimento dell’amico è risultata essere un chiaro riferimento alla Famiglia Altieri, famiglia principesca romana che ebbe anche Papa Clemente X tra i suoi membri.

La stella presente su uno dei lati del cippo, evidenziata in giallo

Lo stemma della famiglia, infatti, contiene tra gli altri simboli anche sei stelle a otto punte, spesso presenti in forme che, nel loro complesso, sono leggermente differenti, ma tutte accumunate dallo stesso numero di stelle.

Un collage di alcuni stemmi della Famiglia Altieri

Un’ulteriore conferma è stata possibile grazie a un’interessante pubblicazione di Michele Benucci e Giuseppe Romagnoli sui cantieri che la Famiglia Altieri avviò nella zona di Monterano e dove, tra le altre cose, si menziona l’apposizione di un cippo che, nella forma e nei simboli, ricorda molto quello di Villa Ada.

 Il cippo Altieri nella zona di Monterano

Trovato un primo indizio e le prime conferme in merito, non restava che cercarne di ulteriori e, in particolare, qualcosa che legasse il nome Altieri alla zona di Villa Ada dove è collocato il cippo, conferma che ho potuto avere dalla pianta del Catasto Gregoriano del 1816.

Sovrapposizione della pianta del Catasto Gregoriano e un’immagine di Google Earth 

Il brogliardo associato al catasto riporta che la proprietà della zona dove si trova il cippo era di Paluzzo Altieri, Principe di Oriolo Romano, anche se la lettura non è agevole, considerando lo stile della scrittura dell’epoca.

Estratto dal brogliardo del Catasto Gregoriano, relativo alla proprietà Altieri 

Sull’altro lato del cippo, invece, sono riscontrabili le lettere G e B, che ho evidenziato nell’immagine che segue.

Le lettere presenti sul retro del cippo, evidenziate in giallo 

La corretta lettura delle lettere è ancora una volta agevolata dal brogliardo, che riporta per la particella 44, una di quelle confinanti con quella di Altieri, la proprietà da parte di Bernardino Giraldini.

Estratto dal brogliardo del Catasto Gregoriano, relativo alla proprietà Giraldini 

Questa sorta di doppia menzione – la stella e le iniziali del possibile confinante – potrebbe appunto spiegarsi con il fatto che il cippo delimitasse un confine tra le due proprietà Altieri e Giraldini, ricordando che in genere i cippi venivano posti per indicare confini, zone di rispetto o commemorazioni funerarie, anche se l’ipotesi stride con quanto si può notare dalla sovrapposizione già mostrata nell’immagine precedente, quella con la sovrapposizione, dato che il cippo appare collocato quasi al centro della particella catastale Altieri e non, al contrario, sulla linea di confine con quella Giraldini, ricordando che generalmente i cippi venivano posti in corrispondenze di angoli o deviazioni improvvise delle linee di confine.

Questa collocazione anomala potrebbe indicare essenzialmente due cose: (1) il cippo fu posto quando i confini erano differenti da quelli evidenziati dal catasto, cosa che rafforzerebbe l’ipotesi che il cippo fu posto ben prima della redazione di tale catasto e che poi, complice una modifica di tali confini, il cippo si sia venuto a trovare in un punto non più coincidente con essi; (2) i confini non mutarono, ma il cippo fu spostato successivamente, cosa non così rara come si potrebbe pensare, soprattutto se si considera che, con gli acquisti che successivamente alla data del Catasto Gregoriano del 1816 fecero i Savoia, portando l’estensione della villa a circa 160 ettari, molte delle particelle riportate nel catasto cambiarono proprietario, cosa che rendeva di fatto priva di senso, sia la presenza dei cippi che la loro posizione, considerazione che potrebbe giustificare lo spostamento, piuttosto che la sua semplice rimozione.

Il ruolo del cippo, tuttavia, non era la sola questione aperta, dato che l’altro punto da chiarire era relativo all’epoca in cui il cippo fu posto e, a tale proposito, un primo riferimento è il periodo in cui Peluzzo fu in vita, dal 1760 al 1834, e quello a cui fa riferimento il Catasto Gregoriano, un catasto particellare dello Stato pontificio, iniziato da Pio VII nel 1816, dopo l’esperienza napoleonica, e rilasciato da Gregorio XVI nel 1835, cosa che tra l’altro giustifica il nome che fu dato a tale catasto, periodi che consentono una prima ipotesi di datazione della posa del cippo, o meglio quella di un limite superiore per essa, che si può fissare nell’intorno del periodo di realizzazione del catasto, visto che è ragionevole ritenere che il proprietario dell’area lo avesse posto come elemento di riferimento.

Tuttavia, se l’ipotesi su una data limite sembra ragionevole, più difficile è farla sulla data reale di posa, visto che, tanto per fare un esempio, non ho idea se Paluzzo Altieri avesse ereditato il terreno da un suo avo, cosa che potrebbe portare indietro nel tempo la posa del cippo.

Purtroppo, vista la datazione del Catasto Gregoriano e la mancanza di informazioni analoghe per i periodi precedenti, verificare questa ipotesi è oltremodo difficile, soprattutto perché il Catasto Alessandrino, voluto nel 1660 da Papa Alessandro VII e che rappresentava la prima redazione sistematica e completa delle tenute dell’Agro Romano, zona dove è collocata Villa Ada, era in realtà una collezione di disegni e piante – per la cronaca, non ho trovato nulla che facesse riferimento all’area analizzata – senza l’approccio particellare dei catasti che lo seguiranno e, quindi, di più difficile lettura.

Sempre in relazione alla data di posa del cippo, va segnalato che già nel 600, nella zona dove ora c’è Villa Ada, si ritiene fosse presente una Vigna Altieri – uso il condizionale dato che, in merito, ho trovato solo una fonte che riporta tale presenza – molto estesa e successivamente inglobata nella tenuta De Heritz, la cui villa è oggi sede dell’Università LUISS, che benché non sembra essere collocata o includere l’area dove si trova il cippo, potrebbe testimoniare che la famiglia Altieri aveva comunque importanti proprietà nella zona, cosa che avvalorerebbe l’ipotesi di una posa del cippo in epoche ben precedenti a quelle del Catasto Gregoriano.

 La vigna Altieri, come riportata dal sito Roma2Pass 

Va detto che c’è anche un’ipotesi che va sostanzialmente nella direzione opposta per quanto riguarda la data di posa del cippo e che deriva dalla pianta del Catasto Rustico, nel suo ultimo aggiornamento del 1903, pianta che mostra come il cippo sia posto su quello che sembrerebbe rappresentare un nuovo confine tra particelle che non erano presenti nel Catasto Gregoriano.

 Sovrapposizione della pianta del Catasto rustico e un’immagine di Google Earth

Questa nuova struttura dei confini farebbe ipotizzare che il cippo in questione sia stato realizzato proprio a fronte di questa revisione e, quindi, sia databile tra la fine dell’800 e l’inizio del 900.

Tra l’altro, considerando la non precisissima sovrapposizione tra Google Earth e la pianta del Catasto Gregoriano e le ipotizzabili piccole imprecisioni dell’epoca della pianta di quest’ultimo, il cippo parrebbe posto in corrispondenza di uno spigolo di confine con la particella 788 – la distanza dallo spigolo, misurata sempre con Google Earth, è di circa 5 metri – cosa che ne rafforzerebbe il ruolo di delimitatore di confine.

Insomma, che dire, se da un lato sembra essere chiarita l’appartenenza del cippo, dall’altro resta aperta la questione della sua datazione precisa, con un arco temporale che, se da un lato ha una data superiore piuttosto certa, lo stesso non si può dire di quella della sua effettiva posa. Ovviamente, continuerò a indagare, ma al momento non posso che lasciarvi con questa domanda senza risposta.

Quando a Villa Ada si produceva (forse) il vino

Quel che resta oggi dell’edificio al servizio della vigna Probabilmente per volere di Vittorio Emanuele II – non ho trovato documenti al ...