sabato 5 luglio 2025

Il cippo del 1826, vicino al buco su Via di San Filippo Martire

Chi mi segue sa che ho una sorta di passione morbosa per i cippi, tanto che rappresentano di gran lunga ciò che vado periodicamente cercando, durante le mie esplorazioni nella bellissima Villa Ada e il cippo del quale vi parlerò è stato tra i primi che ho notato, ma anche uno dei più complicati da interpretare, tanto che, a oggi, non sono arrivato ad alcuna conclusione.

Il cippo in questione si trova sul sentiero che porta verso Via di San Filippo, dove sul muro di separazione della villa c’è il famoso buco, noto anche come “Bocca del Satana”, nome pittoresco e non si sa da chi deciso, che rimanda ai presunti riti satanici svolti all’interno della villa, come ipotizzò questo articolo del 2015.

Riti satanici a parte, il cippo è di fattura modesta, di dimensioni ridotte e presenta un’importante scheggiatura, che rende ancora più complessa la determinazione del suo ruolo. Nella parte frontale, il cippo riporta la data 1826 – in realtà il numero 1 iniziale manca a causa della scheggiatura, me è del tutto ragionevole che fosse lì – come si può vedere nell’immagine che segue, dove ho evidenziato in giallo la data, e nella parte superiore due lettere, anch’esse evidenziate, delle quali la seconda è sicuramente un “G”, mentre la prima, a causa della scheggiatura della quale vi parlavo, è di impossibile determinazione, visto che di lettere con quella forma ce ne sono diverse.

La parte anteriore del cippo, con le incisioni evidenziate

Il retro del cippo, al contrario, non presenta alcuna incisione, come potete vedere qui sotto.

La parte posteriore del cippo

Assumendo che la data riportata sul cippo coincida con quella della sua posa, si può desumere che questo fu posto nel periodo in cui Luigi Pallavicini possedeva parte della villa, anche se la zona dove è il cippo era esterna ai possedimenti del principe, che come ho raccontato nel post sulla storia della villa, aveva acquistato solo tre vigne che insistevano su Via Salaria, a partire da quello che oggi è l’incrocio con Via Panama, zona dove poi avviò imponenti lavori, che portarono tra l’altro alla realizzazione del Tempio di Flora e del Belvedere.

Per cercare di capirne di più e come spesso faccio, sono partito dal Catasto Gregoriano del 1816, il primo catasto particellare, dal quale emerge tuttavia una situazione, per così dire, anomala, visto che il cippo appare collocato al centro di un’ampia proprietà, che includeva quella che poi diventerà, quasi cent’anni dopo, Villa Polissena, edificio indicato con la particella 112, e un altro edificio, oggi sparito, indicato con la particella 110, e non, come normalmente accade, su una linea di confine, con il ruolo di indicarne la collocazione o, come più spesso accade, di evidenziarne un cambio di direzione.

Sovrapposizione tra la pianta del Catasto Gregoriano e l’immagine di Google Earth

Nell’immagine qui sopra, vedete quindi la sovrapposizione della pianta del Catasto Gregoriano con l’immagine satellitare presa da Google Earth, dove ho evidenziato la posizione del cippo, la sua foto e la linea di confine della proprietà, che come si può vedere dalla quarta immagine, estratta dal brogliardo del catasto, risulta intestata a Stefano Bettelli Olivieri – a voler essere precisi, dopo il nome “Olivieri” compare il nome “marianna”, che sembra però scritto con l’iniziale minuscola, cosa che non ne rende chiaro il ruolo.

Brogliardo del Catasto Gregoriano

Questa attribuzione di proprietà, tra l’altro, sembra poco coerente con le lettere riportate sul cippo, anche assumendo che la prima, quella parziale, indicasse la “O” di Oliveri, resterebbe il dubbio della “G”, non riconducibile allo stesso proprietario.

Anche volendo assumere un’imprecisione nella pianta del catasto, che però si è sempre dimostrata molto accurata nelle posizioni e distanze, appare difficile ipotizzare che il cippo potesse in realtà essere stato posto a delimitare il confine della particella 110, quella relativa all’edificio, che nel brogliardo viene descritto come “casa con corte ad uso della vigna”, cosa tra l’altro molto comune per tutti gli edifici che, al tempo, erano presenti in una zona vocata, appunto, a vigneti o a coltivazione.

Per puro scrupolo, anche se la cosa ha poco senso, vista la data riportata sul cippo, ho fatto, come si può vedere nella quinta immagine, analoga operazione con la pianta del Catasto Rustico, nel suo ultimo aggiornamento del 1903, ma anche in questo caso, pur con le variazioni occorse nell’intervallo di tempo tra i due catasti, con una evidente frazionamento dell’ampia proprietà riportata nel Catasto Gregoriano, il cippo appare collocato lontano dalle linee di confine.

Sovrapposizione tra la pianta del Catasto Rustico e l’immagine di Google Earth

Purtroppo, il brogliardo del Catasto Rustico non è disponibile online ed è anche strutturato in modo diverso rispetto a quello del Catasto Gregoriano, essendo costituito da un insieme di registri, consultabili solo presso la sede dell’Archivio di Stato di Roma, per cui al momento non sono in grado di capire se un eventuale cambio di proprietà, avvenuto nel 1826 e per qualche motivo non recepito dal Catasto Gregoriano, possa dare un senso alle due lettere riportate sul cippo. A rendere ancora più complessa una ricerca in tal senso, va ricordato che al momento il Catasto Rustico non è accessibile perché in fase di digitalizzazione, come riportato in un post dell’Archivio dello Stato di Roma, per cui solo al termine di tale operazione sarà forse possibile avere una risposta in merito.

Insomma, per il momento – un momento che durerà a lungo, temo – le domande rimangono senza riposta e il cippo continuerà a conservare il suo mistero.

Concludo, dicendovi che il cippo in questione è presente sulla mia mappa della villa e identificato come “Cippo 1826”.

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